sabato 29 dicembre 2012

GLI EROI NON HANNO UN BUON ODORE # G. Flaubert



Se dovessimo far parlare i fatti, ciascuno di noi sarebbe messo in difficoltà. Non siamo perfetti, ma non siamo arrendevoli. Per fortuna ci sono altri fotogrammi da sviluppare.  L’importante è avere coraggio nel determinare la nostra esistenza anche fosse appesa a un filo... 
Le espressioni del coraggio umano si associano paradossalmente a caratteristiche proprie del mondo animale: “ha il ruggito del leone”, “l’incornata del toro”, “la zampata dell’orso”, “gli artigli dell’aquila”, forse perché nell’essere coraggioso c’è qualcosa d’istintivo, primordiale, animalesco tutt’altro che ragionato. 

A volte le persone coraggiose sono figure mitologiche abitanti universi paralleli. 
Altre epoche/Altre storie/Altre pagine. Un uomo che si concede all’intrepido è spesso visto con diffidenza, talvolta considerato un visionario senza né arte, né parte: un avventuriero con il cappello alla Indiana Jones e la frusta del domatore da circo; una donna che sorvola l’Atlantico o alza le braccia sopra il muro di Berlino. 

E nel quasi 2013? Oltre la profezia Maya. Cosa significa “aver coraggio”? 

Hermann Hesse scrive che:  
Dipende tutto dal coraggio. Anche il più intrepido spesso lo perde, e allora finiamo col cercare programmi, sicurezza, garanzie. Il coraggio ha bisogno della ragione, ma non ne è il figlio, viene invece da strati più profondi.Che cos’è, dunque, il coraggio? Chi mai ne ha spiegato l’essenza o ne ha svelato il mistero? Siamo costituiti di virtù che sono come le impronte digitali del nostro carattere. 

Il coraggio, secondo la tradizione greca, è la condizione di ogni virtù, esso svolge un ruolo fondamentale nell’affermazione di sé. Il coraggio, infatti, ci porta a rivelarle, scoprirle, trovarle: le battezza nell’acqua della vita!!!!! “Ci vuole coraggio”.Quante volte ce lo siamo sentiti dire o ce lo siamo detti. Talvolta, invece, lo si dice per disprezzare una scelta o una presa di posizione che non condividiamo. La  retorica sottende: “Che vergogna..ci vuole coraggio” 
In antitesi, credo che l’indecisione sia negativa perché logora e non restituisce quella forza propria di ogni atto di coraggio. 

L’indecisione non coopera con le nostre emozioni, anzi le confonde, le altera, le ripudia. 
Un’emozione ha bisogno di essere generata e l’evento coraggioso è il miglior fecondatore.

giovedì 27 dicembre 2012

SE ATENE PIANGE, SPARTA NON RIDE

tratto da "Istituto di Politica"- settembre 2011 - Sara Zanon
La leadership è una proprietà dell’azione politica che fa riferimento alla capacità di comando di alcuni uomini su altri. Tale dote in una democrazia è sempre basata sulla persuasione e sul convincimento che i leader riescono ad esercitare sui seguaci, sui followers.
La credibilità, per la leadership, è tutto. Ma esistono ancora leader credibili? Cosa succede quando la capacità di guida di un politico è messa in discussione? Se la leadership è un bene sociale che nasce all'interno di un tessuto esplicito di rapporti e usufruisce di tutte le varianti possibili, allora, oggi, il dibattito ha un ingrediente inedito: la contestazioni dei propri leader da parte degli stessi militanti di partito.

Ha descritto bene il fenomeno Fabio Martini sulla Stampa del 13 settembre: “ il capo è mio e me lo contesto io”. Il modo di stare e fare società cambia velocemente, in un modo inimmaginabile fino a poco tempo fa. Il mutamento coinvolge milioni di persone, ed è il frutto di inedite connessioni. Non stupisce, dunque, quel dissenso maturato sulla pubblica piazza, e proseguito sui social network, di nomi illustri della politica da parte dei militanti della stessa area.
Sono stati contestati, nel corso delle ultime settimane, non soltanto leader ormai storici come Massimo D’Alema o Silvio Berlusconi, ma anche nomi finora immuni da tali manifestazioni da parte della base, come Gianfranco Fini, Umberto Bossi, Nichi Vendola, Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi. Persino il sindaco di Firenze Matteo Renzi, il rottamatore per eccellenza, è diventato oggetto della sua stessa battaglia di rinnovamento e proprio nella sua città.
Che cosa sta succedendo ai nostri leader politici? Come mai i seguaci non si accontentano più di ascoltare le loro parole? Che sia finito il tempo delle vecchie tribune politiche polverose e paludate e ci sia, invece, l’esigenza di una pratica politica che si generi nelle interazioni tra le persone?
Per Alessandro Campi, siamo ad un passaggio di fase, ad un tornante a suo modo «storico»: «Si stanno sommando un fenomeno più epidermico, il malessere in una fase di stallo politico e di crisi economica e un fenomeno più profondo, di lunga durata. Sta cioè cominciando ad entrare in crisi il modello della leadership monocratica, inamovibile e carismatica creata da Berlusconi ma mutuata da quasi tutti gli altri. Cittadini ed elettori, che in quello schema erano relegati in un ruolo subordinato e di ascolto, stanno tornando a voler essere protagonisti, dicendo la loro».
Dove sono finiti gli eserciti di gregari pronti a mettersi a disposizione? Che cosa dicono, ora, “cittadini ed elettori”? Contro chi se la prendono? Bossi e Fini sembrano essere i bersagli ideali. Dopo Ferragosto, accerchiato dalle contestazioni da parte dell’(ex) popolo leghista bellunese, Bossi si è mimetizzato, come una volpe nel deserto, tra baite e uscite laterali e alla fine ha dovuto lasciare (di notte) l’hotel. E a Fini, due giorni fa, è capitata qualcosa che in venticinque anni non gli era mai successo, ha ricevuto una mini-contestazione proprio nella «sua» Mirabello, il paese emiliano dove era nata la mamma e dove un quarto di secolo fa Giorgio Almirante lo aveva scelto come erede naturale.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. Una settimana fa, Pier Luigi Bersani al corteo della Cgil ha dovuto ascoltare cori come: «Siete tutti uguali…». Persino a figure carismatiche come Nichi Vendola e Rosy Bindi sono capitati episodi di malcontento: al Governatore pugliese davanti a Mirafiori; alla presidente del Pd, il 9 luglio a Siena, quando davanti all’assemblea delle donne «Se non ora quando?», è stata fischiata non appena ha detto: «Chiederò al mio partito di ascoltare le vostre ragioni…». Di quali ragioni parla? Perché questi fischi?

Qualcosa sta accadendo. Forse non siamo più solo soggetti passivi che vogliono essere ascoltati dal politico di turno. Jim Surowiecki, giornalista del “New Yorker”, nel suo La saggezza della folla sostiene che in futuro sarà la saggezza delle moltitudini a fare la differenza, che l’unione consapevole di più intelligenze, l’integrazioni di molteplici punti di vista (ragioni), l’incrocio e la mediazione di ogni singola idea creerà più valore di quanto possa crearne il genio isolato di una mente illuminata. Tante intelligenze semplici, se messe in comune, produrranno più valore in assoluto e potranno diventare il motore dello sviluppo di una società, dell’economia e della politica. Un Noi fatto da tanti Io. Questo si appresta a divenire la politica del futuro.

lunedì 24 dicembre 2012

DIRE, FARE, COMUNICARE...


Il potere del silenzio riposa nella parola che ascolta (….) esso diviene ovvio quando la parola che ascolta trasmette veramente il silenzio e lo traduce in linguaggio.  Raimon Panikkar, Mistica pienezza di vita.
Quanti di noi giocando al telefono senza fili della vita si sono accorti che loro malgrado, passando di bocca in bocca, alcune parole si sono impigliate nella rete del malinteso?
Quanti si son trovati a dover giustificare pensieri non propri, perché da altri male interpretati per fretta o per arroganza?
Forse in ragione del fatto che comunicare è un’arte dalle mille sfumature.
Comunicare non significa trasmettere informazioni o entrare semplicemente in 
contatto con l’altro. 
Comunicare significa incontrare l’altro per avere con lui uno scambio autentico. 
Nelle economie antiche si viveva di scambio: se ti vendevo carote o fagioli erano miei, li avevo coltivati e fatti crescere io.
E oggi? Cosa facciamo crescere nei nostri orti virtuali, privi dei semi e al di sopra della terra?
L’incontro non lo puoi progettare a tavolino ed il vero scambio non può che nascere dalla creatività.
Gonfi di numeri, pieni di tecniche e strategie, trasformiamo ogni cosa in performance, ottimizzazione e Produttività.
Mentre il risultato è simile ad una somma algebrica: più ci metti del tuo nel momento dell’incontro-scambio più la comunicazione risulterà efficace.

domenica 23 dicembre 2012

VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA

Il mondo ha già a più riprese disatteso le previsioni sulla sua fine annunciata, mostrando straordinarie capacità di rinnovamento.

“Il sole è nuovo ogni giorno!”, diceva Eraclito (l’espressione è del filosofo Jules Lagneau).
E noi? Siamo candidati a questo cambiamento? Ne siamo capaci?
A volte l’unica cosa che sappiamo fare è complicarci la vita.  Quante volte ci perdiamo in un bicchier d’acqua o nella nebbia delle cose.
Bizzarro, perché il cambiamento si agita dentro …sincero come un pugno e docile come la carezza di una madre.
A noi spetta esprimerlo al di qua del bene e del male. 
Ciascuno di noi è portatore sano del proprio cambiamento.Perché uno sguardo più ampio può cambiare il nostro punto di vista:
Ispirarsi quando la realtà non dà più verità
Dialogare quando non ci sono più parole
Duplicare le risorse quando non ci sono più azioni possibili
Iniziare a cambiare quando lo stato d’animo incoraggia alla fine
Riconoscere il valore quando non ci sono più esempi da seguire
Provare un inizio di piacere nella costanza del dolore.

venerdì 21 dicembre 2012

IL COUNSELING NON E'...

Non è una consulenza medica per disagi psichici
Non è una terapia di tipo psicologico
Non è una direzione spirituale sulle questioni esistenziali
Non è un’assistenza didattica per problemi d’apprendimento
Non è una ricetta magica per guarire le ferite del vivere

E’ un percorso d’orientamento

C’è una difficoltà nell’affrontare i grandi temi che riguardano i sentimenti


VIVERE VIS: SCIS ENIM?   VUOI VIVERE: MA SAI VIVERE?
SENECA, LETTERE A LUCILIO (77,18) 

Epistole preziose, come perle di un fiume che scorre, sono quelle consegnateci dalla storia e intercorse tra il filosofo Seneca e il suo discepolo Lucilio.

Parole scritte 2000 anni fa, in realtà fresche come un frutto di stagione.

Tema portante di questo carteggio è il “saper vivere”.

Come si può condurre la propria vita affinché sia ricca di senso?

mercoledì 19 dicembre 2012

TRA ME E IL COUNSELING...

E mi ritrovo a scrivere...stavolta con uno scopo diverso: un blog!
Questo blog si pone l’obiettivo di aiutare chi vive nel conflitto a farne un sol boccone !
Però non tutti siamo leoni, e anche se, sempre più, viviamo nella savana del traffico e del confuso, non siamo in grado di reagire con un sano ruggito, quanto piuttosto con un sonoro lamento...

Mi rivolgo agli operatori del “conflitto per risolverlo”, ma soprattutto a chi lo vive: vuoi per un inciampo, vuoi per un errore, vuoi per motivi non pervenuti...

In questi e in tanti altri momenti scelgo il "counseling".

PERCHE’ IL COUNSELING?
perchè garantisce uno spazio di ascolto e di riflessione protetto, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta o di cambiamento.
E' un intervento che utilizza varie metodologie mutuate da diversi orientamenti teorici e può essere erogato in vari ambiti, quali privato, sociale, scolastico, sanitario, aziendale.
Il counselor è un professionista formato e consapevole che pone al centro del suo lavoro la persona.
Si rivolge al singolo, alle famiglie, a gruppi e istituzioni.
QUANDO RIVOLGERSI AD UN COUNSELOR?

  • Per migliorare la mia capacità di rispondere a circostanze complesse della vita;
  • Per riconoscere e soddisfare i miei bisogni e le mie necessità;
  • Per chiarire pensieri e sentimenti;
  • Quando voglio migliorare e sviluppare le mie capacità progettuali ed avere un senso di controllo direzionato all'obiettivo;
  • Per portare a termine nel modo migliore gli impegni;
  • Per migliorare l'autostima, l'immagine di sé e la capacità di comunicare in modo assertivo;
  • Per affrontare in modo positivo cambiamenti importanti della vita (adolescenza, orientamento scolastico, orientamento lavorativo, pensionamento, ecc.);
  • Quando vivo incertezze o difficoltà nel percorso di studi e nel lavoro;
  • Quando attraverso un momento di disagio emozionale (conflitti, separazioni, perdite) o altre difficoltà che accompagnano la crescita individuale (difficoltà relazionali: di coppia, in famiglia, sul lavoro, nel gruppo dei pari).


..e poi.... lo scopriremo nel prossimo post! ;-)

lunedì 17 dicembre 2012

NON E' UN PAESE PER "SOLE" DONNE

E vissero per sempre felici e contenti, così finiscono le fiabe, ma non c’è spazio per il lieto fine  al quale ci hanno abituato da piccoli, né per quelle canzoni alla Lucio Battisti che narravano in musica le vicende di amori adulti. Non vi è fantasia in grado di decantare un raffronto, quanto mai necessario, con il principio di realtà. La cronaca di questo Luglio ha consegnato al Paese del Sole una costellazione, senza più cielo, fatta di omicidi e violenze la cui costante sono state le vittime: Simona, Maria, Sonia, Debora, Chiara, Annamaria Eleonora..tutte donne!
Reati sanguinari non solo per modalità ed efferatezza: uno di seguito all’altro, 
in una successione che non ha lasciato alle coscienze degli italiani, già in clima di vacanza, il tempo di piangere, realizzando quanto stava succedendo. Omicidi ad opera di stalker seriali, di mariti, fidanzati e “spasimanti” che non sono riusciti a superare il rifiuto, ad elaborare il lutto di una separazione, o semplicemente ad affrontare la delusione di un amore non corrisposto. 
L’empatia di un popolo dovrebbe mettere in gioco spazio e tempo, in quella “giusta distanza” che impedisce all’emozione di travolgere e all’indifferenza di raggelare, ma tale cogente sensazione di dolore, morte e disperazione disintegrerebbe la personalità di qualunque Stato, anche del più predisposto ad atteggiamenti comprensivi.
Verrebbe da dire: “ eppure, le leggi ci sono!”. Le norme sul reato di stalking, entrate recentemente in vigore, sembravano aver colmato un vuoto legislativo di anni, ma quel che appare non sempre riempie: il senso di una giustizia satura d’ubriachezza rimane forte. La questione probabilmente non si risolverà con un colpo di spada legislativo, né con compromessi esecutivi o risoluzioni giudiziarie preconfezionate, certi nodi relazionali non hanno pettine ed Alessandro Magno in persona risulterebbe disarmato al loro cospetto.
Nodi gordiani che società e cultura hanno fatto, rifatto e mal disfatto potrebbero sciogliersi senza la necessità di un taglio netto, se solo cambiassimo modo d’intendere gli episodi di violenza sulle donne. Le risposte su come evitarli, prevenirli o combatterli potrebbero essere divergenti, ma vanno, se non trovate, almeno cercate, scongiurando così il rischio di ragionamenti sterili in merito a misure cautelari non attuate o nuclei familiari malati. 
Abbiamo l’obbligo etico del non rimpianto, ancor prima dell’urgenza morale del pianto. La nostra bandiera sia, dunque,  l’interrogarci sulle cause evitando di prendere  in conto fatti ormai incontrollabili, affinché l’ottenere risposte non diventi semplicemente una Chimera vedova di Bellerofonte, ma quanto piuttosto un motore di ricerca efficace e consapevole.
Quando percepiremo le risposte come autentiche, congruenti ed empatiche con riferimento ai dati reali, queste diventeranno serenamente  i piloni sui quali edificare un ponte, non più levatoio tra noi e quel grido senza bocca nel quale quest’estate sono violentemente precipitate le famiglie di vittime e carnefici. Un ponte in grado di farci attraversare il fossato con il quale si difende una castellana assente, non solo nella dimora di sé, ma anche nella consapevolezza dell’altro da sé. Una donna senza residenza, ma capace di fare le valigie, perché stanca di vivere una Storia con la s minuscola, e sempre più alla ricerca  della propria Storia non solo individuale.
La non Storia  potrebbe risultare per questa donna una campana di vetro insostenibile,  una barriera in grado di  far diventare il genere femminile un fantasma fatto della stessa sostanza di cui erano fatti i merletti del Castello. L’eccesso di protezione, nonostante i buoni propositi, vincola ogni capacità d’autodeterminazione e sviluppo interiore. A mio parere, abbiamo come italiani, il dovere di togliere la campana di vetro, promuovendo al contempo il benessere della donna e della comunità a cui essa appartiene. 

La donna in particolare emancipandosi dalla tela che il maschile ha intessuto nel corso della Storia sulla sua figura e rifuggendo da un femminismo che assume i connotati di un maschilismo sotteso, potrà dare spazio ad un nuovo protagonismo femminile. Secondo la filosofa spagnola Maria Zambrano, infatti, c’è il pericolo che il femminismo appiattisca e sia soltanto un conflitto di opposte “ volontà di potenza ”. 
A tal proposito,  prosaicamente scrive il professore Silvano Zucal nel libro “ il dono della parola”,  le protagoniste femminili come la Vergine Maria, Antigone, Eloisa, Saffo sono, invece, per la filosofa figure autenticamente sapienziali, perché in grado di testimoniare il “ sapere dell’anima” che riconosce il proprio fondamento nel sentire e ha in odio l’astrazione e il divorzio dalla vita tipici di una ragione dominante e violenta. Non può esserci scissione tra pensiero e vita, non si può che vivere pensando e non si può pensare al di fuori del vivere. 
La donna di Zambrano è una creatura  dalla “ razionalità qualificata diversamente ”, portatrice privilegiata di quel sapere notturno, radicato nelle "viscere", le medesime viscere alle quali ciascuna donna ha la possibilità di dar voce senza dismettere dall'essere pensiero. La donna è totalmente anima e non quell'incrocio di spirito e istinto che fa l'identità peculiare dell'uomo, e lo sarà ancor di più, se saprà contrapporre come proprio bene segreto " la ragione senza nome della Vita ", conquistando così il territorio dell’Intelletto senza mai perdere l'anima.
La donna immergendosi nella vita che le è propria, confondendosi con essa, costituirà il proprio profilo partorito, diventando così capace di disvelare la grandezza della passività amante di cui è portatrice universale. La posta in gioco è l’esistere come donna. Il limite del pensiero occidentale rispetto alla concezione della figura femminile risiede in questa concreta non esistenza della stessa, in questo non riconoscimento di un sapere sapienziale proprio di essa; un pensiero logocentrico che ha dato voce ed urla a parole che, invece, hanno la caratteristica d’essere mute e celate nel fondo dell’anima. Le parole private di questa passività e mutezza hanno ceduto il passo ad idee agite ed agitate con conseguenze negative sia per l’uomo che per la donna. E’ proprio della vita umana, invece, far crescere la sua parola nel suo grembo: la Vita crea la parola, o più semplicemente, la Vita parla. 
Dar vita a quelle parole proprie dell’anima significherà, allora, dar voce alle donne morte, siano esse mancate per “ assenza di cura” da parte di qualcuno, oppure siano esse state uccise per un non amore generale. Persone, creature, donne che hanno vissuto di parole senza ricevere parole aurorali, d’ascolto  senza essere realmente sentite, d’emozioni senza comprensione autentica, tutto ciò restituirà a quelle donne e ai loro affetti la considerazione che è mancata in vita. Restituire la voce a chi non ha avuto il tempo di salutare la vita ed i propri cari è possibile con gesti e parole che solchino l’orizzonte attraversando un silenzio sentito. 
A queste donne dobbiamo rendere conto, ascoltando la loro storia attraverso i racconti di chi ha voluto loro bene, magari recandoci presso i loro sepolcri non solo con un mazzo di fiori, ma con la volontà d’incontrarle realmente, impegnandoci così in un continuo processo d’acquisizione del loro vissuto al di là del bene e del male della loro morte. Un processo che diverrà processo di conoscenza, trasformazione e purificazione reciproca: unico scambio in grado d’arricchire  e restituire trasparenza a loro e a noi che ne testimoniamo la prematura dipartita.   
Se la bellezza di queste donne risiedeva nella loro abbagliante fragilità, starà a noi    che siamo diventati loro testimoni riportarla in vita in ritrovate forme. Una bellezza accecante seppur fragile, il cui bagliore oscurava ciò che era al di là del limite da cui rifulgeva. Assumere la fragilità di queste bellissime donne, anche dopo la  morte, significherà non lasciarle più sole ed al contempo il portare loro in dono un raggio di sole ( “ Rapian gli amici una favilla al Sole a illuminare la sotterranea notte ” scriveva il poeta Ugo Foscolo ) impedirà che sia ciò che è stato fuori di loro a determinare ciò che era dentro di loro… una grande  bellezza!