lunedì 29 aprile 2013

I CEPPI


I ceppi di legno alleati con l'ascia tagliente
vengono eletti principi di giustizia.
Isolato il tiranno di oggi, Cesare, è rimasto
nell'ombra cupa degli astanti.
Mentre ruotano a terra le teste pensanti,
alza le ali, come fossero spalle,la civetta
di Atena, a lei che è precluso il volo.
Saluta, ormai suicida, nell'eleganza del molo
a picco sul mare loro, vibrante
come sui sanpietrini di Piazza Colonna,
concettualmente, così morirono
T.e A. Moro.

martedì 9 aprile 2013

PER CHI SUONANO LE CAMPANE?


Il persistente rintocco di campane può configurare una responsabilità per fatto illecito? Nel caso in cui si superi la normale tollerabilità, si può parlare d’immissioni di rumore ai sensi dell’art.844 c.c.? Le campane della parrocchia che suonano troppo spesso possono provocare danni non patrimoniali risarcibili, del tipo biologico, morale e da lesioni di diritti di rilievo costituzionale?
L’art.844 c.c. stabilisce i criteri con i quali regolare il conflitto tra usi incompatibili di fondi vicini provocato da immissioni, cioè da propagazioni di sostanze fisiche da un fondo ad un altro, in modo continuato o periodico. Secondo la norma sono le immissioni di “fumo, di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti”.
La questione verte sulla “normale tollerabilità”. Il rimedio per antonomasia contro le immissioni eccedenti la normale tollerabilità è quello inibitorio. L’azione in oggetto è esperibile ai sensi dell’art.844, comma 1, contro tutte le immissioni eccedenti.
Dagli anni Settanta si è cominciato da parte della giurisprudenza di merito e da parte della dottrina a prospettare l’utilizzazione dell’art. 844 c.c. in tema di immissioni come norma a difesa della salute.
Ai fini di una corretta valutazione della tollerabilità del rumore, va escluso il criterio c.d. assoluto, in forza del quale il rumore sarebbe da considerarsi tollerabile o meno a seconda che oltrepassi i valori soglia stabiliti dall’autorità, privilegiando un criterio c.d. relativo-comparativo, atto a monitorare la tollerabilità in concreto.

A tal proposito si riporta qui di seguito un estratto di sentenza che riguarda la questione trattata:

Tribunale di Chiavari
Sentenza 9 agosto 2008, n. 373
L’attrice, individuando il suono delle campane della Parrocchia della Madonna del Carmine e della Chiesa di Santo S. quale rumore intollerabile fonte di danno alla propria salute, domanda la condanna di parte convenuta al risarcimento dei danni e alla riduzione dell’intensità e del numero dei rintocchi di campana “nei limiti consentiti dalla legge” e comunque “in termini di ragionevolezza”.

Dunque, accanto ad una richiesta risarcitoria per lesione del bene salute, la richiesta di un provvedimento inibitorio che, in materia di immissioni nocive, viene comunemente riconosciuto in favore del soggetto leso da immissioni intollerabili. (………………..)
Riassumendo, deve e può affermarsi che le immissioni sonore oggetto di causa, sono state per lo meno la concausa dell’attuale stato di salute deteriorato dell’attrice, individuandosi un danno biologico differenziale pari al 7%.
La domanda attrice risulta fondata e da accogliere sia ove intesa in una prospettiva meramente dominicale, essendo l’attrice proprietaria del fondo che subisce le immissioni, e trovando in tal caso l’inibitoria il proprio diretto fondamento nell’art. 844 c.c., che non pone esclusivamente un divieto, ma consente al giudice di imporre misure tecniche adeguate ad eliminare gli inconvenienti e/o a contemperare i contrapposti interessi (cfr. in questo senso, per tutte, Cass. SS.UU. n. 8300/95); sia ove la si voglia ricondurre all’ottica di tutela del bene salute, essendo la L. il soggetto leso, e trovando l’inibitoria il proprio fondamento nell’applicazione, se non diretta (in tal senso, peraltro, Cass. n. 4523/84) almeno analogica (cfr. Cass. n. 2396/83), dell’art. 844 c.c., o comunque, secondo diversa ricostruzione maggioritaria in giurisprudenza, nell’art. 2058 c.c. (cfr. Cass. SS. UU. n. 4263/85 e SS.UU. n. 10186/98).
Va inoltre sottolineato che, avendo parte attrice allegato e provato sia i fatti posti a fondamento delle proprie domande, sia, con sufficiente diffusione, le ragioni di diritto della propria domanda, resta irrilevante la circostanza (peraltro non rilevata neppure in modo indiretto da parte convenuta) che non abbia esplicitamente indicato la specifica norma alla quale riconduceva la propria istanza.

Pertanto, richiamata la necessità, ai fini della valutazione di tollerabilità dell’immissione sonora, dell’uso del solo criterio cosiddetto comparativo (sopra, in testo e nota 4, diffusamente richiamato) e del limite invalicabile di 3 decibel oltre il rumore di fondo, si ordina a parte convenuta, con esclusivo riferimento al sistema campanario della Madonna del Carmine (non risultando la intollerabilità del rumore determinato dalle campane della chiesa di Santo S.), di astenersi immediatamente dall’utilizzo di dette campane fino alla riconduzione delle relative emissioni sonore al limite massimo di 3 decibel oltre la soglia del rumore di fondo, e con la sola possibilità, nel periodo necessario all’adozione dei necessari accorgimenti tecnici, dell’uso di detto sistema campanario in accompagnamento ai momenti liturgici della celebrazione della sola Messa e delle festività natalizie e pasquali, comunque contenendo la durata dello scampanio al massimo nei venti secondi. (……………..)

venerdì 5 aprile 2013

DIVORZIO ALL'ITALIANA...



Queste e molte altre sono le questioni che deve affrontare chi si separa e non sempre il percorso risulta lineare. Le trasformazioni nella realtà matrimoniale, infatti, riservano degli ostacoli non facilmente risolvibili.

Tali eventi possono essere connesse a una difficoltà di comunicazione con sé o con il coniuge. A volte congruità d’intenti e  di progetti, di valori e comportamenti, non vengono condivisi. C’è timore del conflitto, e si dialoga poco e male. Si ha voglia di lasciarsi tutto alle spalle, di chiudere, d’andare oltre, senza prendersi il giusto tempo.

Ma ogni cosa trova la sua giusta collocazione e una sua congruente risposta. Diamone alcune in questa sede:
Il matrimonio validamente contratto si può sciogliere per due sole cause: l’una naturale, ossia la morte di uno dei coniugi, l’altra legale, comunemente detta divorzio, per l’impossibilità, accertata con sentenza passata in giudicato, di mantenere ovvero di ricostituire la comunione materiale e spirituale tra i coniugi.

La separazione può essere legale (consensuale o giudizialeo semplicemente "di fatto", ciò conseguente all'allontanamento di uno dei coniugi per volontà unilaterale, o per accordo, ma senza l'intervento di un giudice. La separazione legale (consensuale o giudiziale) rappresenta una delle condizioni (la più frequente) per poter addivenire al divorzio. I coniugi che si separano legalmente non pongono fine al rapporto matrimoniale, ma ne sospendono gli effetti nell'attesa o di una riconciliazione o di un provvedimento di divorzio.

Con il divorzio (introdotto e disciplinato con la legge 1.12.1970 n. 898 modificata dalle legge 1 agosto 1978 e dalla legge 6 marzo 1987 numero 74) viene invece pronunciato lo scioglimento del matrimonio la dove sia stato celebrato con rito civile o la cessazione degli effetti civili, se è stato celebrato matrimonio concordatario con rito religioso, cattolico o di altra religione riconosciuta dalla Stato italiano.

I motivi della differenza risiedono nel fatto che il matrimonio celebrato con rito religioso non può essere sciolto dalla giurisdizione italiana, che interviene esclusivamente sugli effetti civili, poiché esso è di competenza della sola giurisdizione ecclesiastica. In entrambi i casi lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili sono pronunciate dal giudice quando, dopo l'esperimento del tentativo di conciliazione, si accerta che non può essere mantenuta o ricostituita la comunione spirituale e materiale tra i coniugi per i motivi indicati dalla stessa legge dell'articolo 3.                                                     

La cessazione del matrimonio produce effetti dal momento della sentenza di divorzio, vengono così a cessare definitivamente gli effetti del matrimonio, sia sul piano personale (uso del cognome del marito, presunzione di concepimento, etc.), sia sul piano patrimoniale senza che essa determini però il venir meno dei rapporti

stabiliti in costanza del vincolo matrimoniale. Inoltre con la pronuncia del divorzio viene meno lo status di “coniuge”, ciò comporta l’estinzione dei doveri previsti dall’art. 143 c.c. e solo a questo punto il coniuge può scegliere di contrarre nuove nozze. 

Secondo una parte della dottrina permane quella che viene definita “solidarietà post-coniugale”, basata sul fatto che i due soggetti divorziati, per un certo periodo di tempo, sono comunque stati marito e moglie e hanno attuato l’impegno di vita matrimoniale (BIANCA 2005,276) nello stesso senso anche GIUSTI- RUSSO 2009. Da ciò deriverebbero gli effetti di ordine patrimoniale a favore del coniuge divorziato quali il diritto all'assegno divorzile, il diritto di abitazione nella casa familiare, il diritto a prestazioni previdenziali e il diritto all'assegno successorio.

Per quanto concerne l’assegno divorzile, ai sensi dell’art.5, comma 6 della leg.div. con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno “ quando quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”. L’indisponibilità dei mezzi adeguati è l’unica condizione posta dalla legge sul piano dell’an debeatur (se dovuto), è l’unica condizione, cioè, sulla cui base il giudice decide se riconoscere o meno il diritto a percepire un assegno divorzile vitalizio.

Premesso ciò, l’adeguatezza dovrebbe essere valutata con riferimento ad uno standard  medio di vita dignitosa (GAZZONI 2004,394). La giurisprudenza e la dottrina maggioritarie rapportano, infatti, l’adeguatezza al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. 7 maggio 1998, n.4617; Cass.12 luglio 2007, n.15610). La giurisprudenza maggioritaria della Corte di Cassazione ritiene che il giudice deve tener conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e altresì del tenore che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, ovvero che poteva ragionevolmente prefigurarsi sulla base di aspettative esistenti nel corso del rapporto matrimoniale (Cass. 2 luglio 2007, n.14965). Ai fini di tale accertamento, il tenore di vita precedente viene desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalla disponibilità patrimoniale.




La Corte di Cassazione ha stabilito che nella determinazione dell’importo dell’assegno divorzile occorre tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l’assegno, anche se successivi alla cessazione della convivenza, qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio e trovino radice nell’attività all’epoca svolta durante il matrimonio  e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dell’onerato.

Sussiste in capo ai coniugi l’onere di attivarsi valorizzando la propria capacità lavorativa sì da potersi procurare i mezzi adeguati per vivere.